Il trapianto allogenico di cellule staminali emopoietiche riduce la mortalità


Nell'ultimo decennio sono stati compiuti passi avanti nella cura dei pazienti sottoposti a trapianto e uno studio ha valutato se questi miglioramenti abbiano migliorato l'esito del trapianto.

Sono state analizzate mortalità generale, mortalità non-preceduta da recidiva e frequenza e gravità delle complicazioni maggiori del trapianto, inclusa la malattia trapianto-versus-ospite e le complicazioni epatiche, renali, polmonari e di tipo infettivo in 1.418 pazienti che avevano ricevuto il loro primo trapianto allogenico in un centro di Seattle ( Stati Uniti ) nel periodo 1993-1997 e tra 1.148 pazienti che avevano ricevuto il loro primo trapianto nel periodo 2003-2007.

Le componenti del punteggio PAM ( Pretransplant Assessment of Mortality ) sono state utilizzate in modelli di regressione per l'aggiustamento per gravità della malattia al momento del trapianto.

Rispetto al periodo 1993-1997, nel periodo 2003-2007 sono state osservate riduzioni significative nella mortalità non preceduta da recidiva a 200 giorni ( del 60% ) e generale ( del 52% ), nel tasso di recidiva o progressione di una condizione maligna ( del 21% ) e della mortalità generale ( del 41% ) dopo aggiustamento per le componenti del punteggio PAM.

Sono stati ottenuti risultati simili con analisi limitate a pazienti sottoposti a terapia di condizionamento mieloablativa e inoltre sono state osservate riduzioni significative anche nel rischio di grave malattia trapianto-versus-ospite ( GVHD ), malattia causata da infezioni virali, batteriche e fungine e danno epatico, renale e polmonare.

In conclusione, è emersa una sostanziale riduzione nel rischio di morte legata a trapianto allogenico di cellule staminali emopoietiche e un incremento della sopravvivenza a lungo termine nell'ultimo decennio e tale miglioramento negli esiti sembra essere dovuto a riduzioni in danno agli organi, infezioni e malattia trapianto-versus-ospite acuta grave. ( Xagena_2010 )

Gooley TA et al, N Engl J Med 2010; 363: 2091-2101



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