Malattie del sangue: mutazioni predittive di sopravvivenza
Specifiche mutazioni genetiche che si trovano comunemente nelle sindromi mielodisplastiche possono aiutare a spiegare l'eterogeneità fenotipica di questi disturbi e a predire la sopravvivenza.
Analisi multivariate hanno stabilito che le mutazioni in TP53, EZH2, ETV6, RUNX1 e ASXL1 sono predittive di una bassa sopravvivenza globale, con un più alto rischio di morte con mutazioni puntiformi in TP53 ( hazard ratio, HR=2.48, p inferiore a 0.001 ).
Tra i cinque geni, il rischio di mortalità era più basso, anche se ancora elevato, con mutazioni in ASXL1( HR=1.38, p=0.049 ).
Le sindromi mielodisplastiche sono un gruppo di malattie caratterizzate da anomalie delle cellule staminali del midollo osseo, disturbi della emopoiesi e varie citopenie.
A causa della eterogeneità clinica di questi disturbi, il trattamento è personalizzato secondo la classificazione di rischio del singolo paziente ( basso, intermedio-1, intermedio-2 e alto, secondo l'International Prognostic Scoring System, IPSS ).
Attualmente, la determinazione della classificazione prognostica è valutata in base al numero di blasti nel midollo osseo, cariotipo del paziente e presenza di citopenie.
Un certo numero di mutazioni genetiche sono state identificate in questi pazienti, ma la specifica influenza delle mutazioni sul fenotipo della malattia non è stata chiarita.
E' stato eseguito un sequenziamento di nuova generazione e genotipizzazione con spettrometria di massa sui campioni di 439 pazienti visitati tra il 1994 e il 2008.
I pazienti erano prevalentemente maschi e di circa 70 anni al momento della diagnosi; due terzi di loro erano inseriti nel gruppo di rischio basso o intermedio-1.
Il follow-up medio è stato di 4.44 anni; 332 soggetti sono deceduti durante il follow-up.
I ricercatori hanno inizialmente individuato mutazioni in 18 geni, con almeno una mutazione trovata nel 51.5% dei campioni.
Sono state poi eseguite analisi univariate che hanno correlato le mutazioni in 7 geni a scarsa sopravvivenza, e sono stati osservati i risultati clinici nei pazienti portatori di queste mutazioni.
In queste analisi, le anomalie in RUNX1, TP53 e NRAS sono state associate a trombocitopenia grave, definita come conta piastrinica inferiore a 50.000/mm 3 ( p inferiore a 0.001 per ciascuno ).
Le mutazioni NRAS, TP53 e RUNX1 sono risultate associate anche a percentuali di blasti nel midollo osseo del 5% o superiori ( p inferiore a 0.001, p=0.005 e p=0.003, rispettivamente ).
Inoltre, mutazioni TP53 sono state associate a un cariotipo complesso, in particolare col coinvolgimento di anomalie sul cromosoma 17 ( p inferiore a 0.001 ).
In un modello multivariato che includeva età, sesso, classificazione IPSS e presenza delle mutazioni più comuni, i ricercatori hanno determinato che l'età e il gruppo di rischio IPSS erano fortemente predittivi per la sopravvivenza di: persone di 55 anni e più, HR=1.81 ( p=0.004 ); categoria ad alto rischio, HR=5.85 ( p inferiore a 0.001 ).
Oltre alle due mutazioni associate al rischio di mortalità più alto e più basso ( TP53 e ASXL1 ), l'analisi multivariata ha trovato i seguenti hazard ratio di decesso per le restanti tre mutazioni implicate: EZH2, 2.13 ( p inferiore a 0.001 ), ETV6 , 2.04 ( p=0.03 ), RUNX1 , 1.47 ( p=0.047 ).
In totale il 31.2% dei pazienti aveva una delle 5 mutazioni.
Questi risultati hanno indicato che le mutazioni in geni specifici aiutano a spiegare l'eterogeneità clinica delle sindromi mielodisplastiche e che l'identificazione di queste anomalie potrebbe migliorare la previsione della prognosi nei pazienti con sindromi mielodisplastiche.
E’ consigliabile includere la genotipizzazione nel sistema IPSS, in modo che la presenza di una delle 5 mutazioni possa spostare automaticamente il paziente nel gruppo successivo con rischio più alto; questo avrebbe importanti implicazioni per il trattamento.
Si è osservato che i trattamenti per i pazienti a rischio basso e intermedio-1 comprendono trasfusioni e somministrazione di fattori di crescita e anche la semplice osservazione, mentre per il rischio intermedio-2 e il rischio alto gli approcci sono più aggressivi, incluso il trapianto di cellule staminali.
La definizione della complessità genetica delle sindromi mielodisplastiche rappresenta una grande speranza per chiarire la patogenesi di queste malattie, facilitandone la diagnosi, la definizione dei sistemi di punteggio prognostico e l'individuazione di nuovi target terapeutici. ( Xagena_2011 )
Fonte: The New England Journal of Medicine, 2011
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